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La Fabbrica dei Sogni

1992

Spettacolo per macchina da proiezione e attore solo, nato come grande omaggio al cinema.

    Produzione

    Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona

    liberamente ispirato a Una solitudine troppo dolorosa di Bohumil Hrabal

    ideato da Paolo Valerio
    regia Paolo Miccichè
    materiale e creazione filmica Aristide Polato
    luci Enrico Berardi
    consulenza musicale Ermanno Motta

    Foto spettacolo La fabbrica dei sogni, con Paolo Valerio
    Cast

    con

    Paolo Valerio
    macchina da proiezione muta Helmann 1929

    Foto spettacolo La fabbrica dei sogni, con Paolo Valerio
    Note di Regia

    “Vi siete mai chiesti che fine fanno i film che avete visto al cinema, le pellicole che vi hanno fatto sognare o inorridire, gioire o piangere? Vi siete mai domandati dove li rinchiudono questi frammenti di emozioni? Vengono macerati come i libri o seppelliti come gli uomini? Cinquant’anni fa le pizze venivano accettate con un colpo secco di tre quarti, dall’esterno verso l’interno. Oggi è ancora lo stesso: un colpo secco di tre quarti”.

    Pellicole disposte confusamente sul pavimento accompagnano il pubblico in un luogo fantastico, inusitato e persino insospettato: al di là dello schermo cinematografico. Il pubblico, una volta sistematosi sul palcoscenico e chiuso lo schermo, quasi balzato come Alice al di là dello specchio, vede scorrere le immagini rovesciate di vecchi film, una preziosa cucitura di vecchie pellicole salvate nel corso di sessant’anni di attività da Aristide Polato, operatore di cinema dal 1926. Su questo campionario della memoria cinematografica in cui si mescolano, quasi con lo stesso potere fascinatorio, volti celeberrimi e dimenticati, attori grandi e piccoli, film d’avventura e cinegiornali, la storia e la finzione, la risata e la tragedia, si staglia e vive il protagonista, un giovane distruttore di pellicole, che come un tenero macellaio affetta, accetta, frantuma quegli stessi preziosi fotogrammi che confonde con la sua stessa vita. Lacerato dal dramma di dover annientare ciò che più ama, vive sospeso tra la realtà e la fascinazione delle immagini effimere che deve distruggere.

    “Quando affetto con la mia affettatrice i film, sento la tritatura di ossa umane, come se stessi stritolando in un macinino a mano i crani e le ossa di qualcuno e, affettando, penso alla frase di Talmud: «Siamo come maiali, soltanto quando veniamo affettati esprimiamo il meglio di noi stessi».”

    Video